Rischia di essere licenziato chi parla male del posto di lavoro
Sparlare pubblicamente dell’azienda in cui si lavoro o della professionalità dei propri superiori può mettere a rischio il posto di lavoro. La maldicenza può, infatti, rappresentare “una potenzialità negativa sul futuro adempimento degli obblighi del dipendente, e fa vacillare il rapporto di fiducia con il datore di lavoro”. Lo rileva la Corte di Cassazione che, con una sentenza resa pubblica nei giorni scorsi (la 19232/2007), ha annullato la reintegrazione nel posto di lavoro di un’infermiera professionista di Monza, E. R., che era stata licenziata dalla Spa medica in cui lavorava per avere “proferito espressioni offensive sulla capacità e sulla professionalità del personale” oltre ad aver denunciato presunte gravi disfunzioni all’interno dell’ospedale (medicinali scaduti, attrezzi non sterilizzati). Finora i giudici avevano ritenuto esagerata la reazione della Holding Multimedia. Adesso la Cassazione invita a rianalizzare i fatti, tenendo conto della “delicatezza della funzione assegnata alla dipendente, lo specifico settore in cui lavorava e l’elevata responsabilità che ne conseguiva”. Il Tribunale di Monza nel 2003 e la Corte d’Appello di Milano, nel dicembre 2004, avevano giudicato illegittimo il licenziamento dell’infermiera, sostenendo che le critiche e le illazioni sulla professionalità dei colleghi o sulla correttezza della società non erano così gravi, viste le accuse “generiche”, da determinare l’allontanamento dalla struttura. Con questa sentenza la Suprema Corte ha accolto il ricorso dell’azienda ospedaliera che ha insistito per la legittimità del licenziamento e ha disposto un nuovo processo. A far propendere i giudici per questa decisione anche il numero di episodi di questo tipo. La Corte di Brescia ha, infatti, ricordato che “in tema di licenziamento per giusta causa, allorquando siano contestati al dipendente diversi episodi, il giudice di merito non deve valutarli separatamente, bensì globalmente, al fine di verificare se la loro rilevanza complessiva sia tale da minare la fiducia che il datore di lavoro deve poter riporre nel dipendente” e questo perché “la molteplicità degli episodi, oltre ad esprimere un’intensità complessiva maggiore dei singoli fatti, delinea una persistenza che è di per sé ulteriore negazione degli obblighi del dipendente, ed una potenzialità negativa sul futuro adempimento di tali obblighi”.
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